Montebello, il castello e i suoi misteri

RIMINI RINASCIMENTALE, IL FANTASMA DI AZZURRINA, STORIA, LEGGENDA E MISTERO AL CASTELLO DI MONTEBELLO.

Montebello - il piccolo paese dei misteri 

Caro lettore. Vorrei proporti alcuni brevi incontri con un piccolo paese dell'entroterra romagnolo. Il suo nome è Montebello. Forse non sai che esistono pochissimi testi che descrivono questo affascinante borgo medievale, pieno di misteri, durante la sua lunga storia di confine tra la Romagna e le Marche.

Ebbene, ti condurrò passo per passo, alla scoperta di alcune tra queste inconsuete vicende che, ancor oggi, aspettano pazienti di essere nuovamente raccontate. Incominciamo con la prima. Un grande pittore di nome Tommaso Molari, nato a Savignano sul Rubicone nel 1875, intraprende un viaggio verso Parigi: è l'anno 1912. 

Tommaso è un artista di grande talento. La sua arte è immediata, avvolgente, sensibile descrittiva. E' abile nel - vedutismo - e nel - ritratto - ed utilizza la tavolozza con eccezionale abilità.

La capitale francese in quel periodo è piena di fermenti innovativi. Stanno esplodendo le avanguardie storiche. Il cubismo, il futurismo, l'astrattismo ed il fragore umano che costruisce queste correnti sta per segnare un'epoca nuova.

Parigi, rappresenta la degna portavoce di quel fremito modernista. 

Il nostro pittore però dopo pochi mesi in quella fantasmagorica metropoli, proprio nel momento in cui sta aumentando la sua celebrità, percepisce uno strano malessere. Si accorge, con il passare dei giorni, che c'è qualche cosa che non funziona. Quello non è il suo mondo.

Una decisione veloce e torna in Italia, nella sua Savignano. 

Qui si ferma e comprende di dover continuare a cercare l'agognata ispirazione in quelle terre a lui così care. Passano gli anni e Tommaso compie innumerevoli escursioni tra i dolci declivi della Valmarecchia.

Un giorno, si trova a passeggiare nei pressi di un piccolo borgo chiamato Montebello. E' un paesino alto in un colle, proprio dirimpetto a San Marino.

Lentamente nasce in lui un tenero affetto per quel luogo. Vi ritorna più volte ed inizia una nuova fase di vita, la più prolifica ed appagante che abbia mai vissuto. E' travolto da un'ispirazione profonda non solo per la pittura ma anche per la letteratura.

Dipinge e scrive. Scrive e dipinge. Realizza opere di altissimo livello, come ad esempio il ritratto di una bimba appoggiata su di una zucca intitolata: - Ada e le zucche -.

Si muove sciolto tra una pennellata e l'altra come fosse dentro ad una sinfonia e, quando mette mano alla penna, non è da meno. 

Finalmente ha trovato quel che da tempo cercava ed immortala quel momento con questa frase riferendosi a Montebello: "…Il luogo del mio romitaggio, dei miei sogni e delle mie visioni…" Inizia a studiare il paese e la sua storia e, pagina dopo pagina, scrive un bellissimo testo dal titolo: "Memorie sul Castello di Montebello di Romagna"

Apriamo il libro, ed andiamo a curiosare nel suo interno, tra le sue parole.

Ecco. Ci si presenta un brano pregnante di significati: 

"…Si ricava dal Tonini di Rimini che fin dal 1187 il castello apparteneva ad un tale Ugo di Maltalone ma che poi passò sotto la Signoria dei Malatesta che lo tennero perdendolo solo per brevi tempi, fino a quando il Pontefice Pio II° (Piccolomini) spogliò Sigismondo Pandolfo Malatesta di tutti i suoi feudi, investendo del Vicariato di Montebello in data - Cal. Junii 1464 dilectus filius Joannes Francisco de Balneo -, coll'annuo censo di una targa d'argento del peso di otto once.

Nell'anno 1471 Roberto figlio di Pandolfo Malatesta dopo fiero assedio lo riprese, ma breve fu il suo possesso, poiché il Pontefice Innocenzo VIII° concesse nuovamente in Feudo Montebello con altri Castelli, a Giovan Franceso di Bagno e cioè in benemerenza dei servigi prestati alla Chiesa sotto il pontificato di Sisto IV°.

Un tragico episodio di quelle feroci lotte si ha poco tempo dopo detta investitura, quando un Guido Guerra di Bagno, figlio di Gian Francesco, preso in una imboscata, nel 13 novembre del 1495 viene fatto decapitare da Pandolfaccio Malatesta di cui era stato alleato e condottiero.

Da allora il Castello di Montebello, tolto un breve tempo in cui l'ebbero i Caraffa, rimase ai Di Bagno che tuttora lo tengono. Caduta la potenza feudale la fortezza fu alquanto trascurata.

Io ricordo quando da ragazzo mi recavo qualche volta lassù d'aver sentito i vecchi raccontare che nell'autunno di ogni anno giungevano delle lunghe cavalcate, non più di condottieri corazzati e del loro pittoresco seguito, ma di Signori e di servi per passare una giornata nell'avito maniero.

Nel 1859, vi alloggiarono un centinaio di Garibaldini condotti dal Colonnello Eugenio Valzania di Cesena poi sostituiti da una compagnia di Piemontesi a guardia del confine delle Marche ancora sotto il governo Pontificio. Infine, venne quasi l'abbandono; allora fu talvolta sicuro asilo di banditi, talaltra di falsari a suo tempo scoperti. 

La leggenda popolare vi intesse intorno il suo mondo di spiriti e di folletti, tanto che, nella notte per chi vi si attarda, sente salire dai trabocchetti rumori strani, tonfi e vagiti paurosi di anime chiedenti pace.

Anche qui, per la ricerca del consueto introvabile tesoro, non vi fu angolo, muro parete, sotterraneo che non fosse tastato, smosso, forato. Fra le tante si narra di una comitiva che una notte, datasi convegno, fece degli scandagli nel trabocchetto.

Dopo ore di lavoro avvertirono sotto il piccone un suono cupo; procedettero con cautela ed ecco scoprirsi un volto a foglia di mattone.

Lì certamente deve esserci il ripostiglio; prima di aprire la breccia, si fa approssimare il prete, che era del novero, dovendo esso con scongiuri propiziare gli spiriti buoni e scacciare i maligni onde il tesoro non venisse involato ai cercatori; fatto questo, non senza una grande trepidazione in tutti, viene spezzato il volto e in cambio del tesoro vi appare sepolto un guerriero con una spada al fianco, che al contatto d'aria svanì quasi d'un tratto…." 

Avvincente. 

Chiudiamo ora piano il nostro testo e concludiamo dicendo che forse torneremo ad interpellare, in una prossima vicenda, il nostro amico Tommaso Molari. Arrivederci a presto.

Sergio Tiboni